Kamikaze

Non chiamateli kamikaze!

non-chiamateli-kamikazeQuando Daniele Dell’Orco, autore di diversi saggi storici e di un eccellente libro su Bombacci per l’editore Historica, mi ha informato che stava per uscire il suo ultimo lavoro “Non chiamateli kamikaze” (Giubilei Regnani), la prima reazione che ho avuto è stata di sollievo. Era ora che qualcuno mettesse finalmente ordine nella confusione verbale per cui nei media ci si riferisce ai “suicide bombers” di Al Qaeda o dell’Isis, chiamandoli impropriamente col nome dei giovani militari giapponesi del Tokko Tai (corpo speciale). Kamikaze, i due ideogrammi del “vento degli dei” che nel 1281 sbaragliò la flotta di Kublai Khan, salvando il Giappone dall’invasione mongola.

A molti giapponesi questa confusione piace poco. Nel film del 2013 “Eien no Zero” di Takashi Yamazaki, il giovane protagonista intento a ricercare notizie sul nonno, pilota del Tokko Tai, si indigna al commento sciocco di un suo coetaneo: “che ti importa dei kamikaze? Dovremmo vergognarcene, in Occidente li considerano alla stregua dei terroristi islamici”.

Dell’Orco ha voluto “disambiguare”, ha approfondito l’argomento e lo ha fatto egregiamente. Anzi, lo ha sviscerato, un termine che si adatta bene alla formula rituale del seppuku, la morte volontaria giapponese. Da quest’ultima inizia Dell’Orco, per poi seguire un percorso appassionante che attraversa il tempo, dall’antichità al giorno d’oggi, e mondi molto diversi tra loro, definiti da fenomeni arcaici legati all’evoluzione delle società umane.

Mi sono soffermato con l’autore su alcuni aspetti del libro, andando oltre la distinzione tra i contesti sociali e le cause politico-religiose che differenziano l’esperienza dei kamikaze nipponici da tutti gli altri combattenti suicidi della storia.

Vattani: Quando tratti dell’ultima guerra in Italia e in Germania, scrivi che la morte volontaria intesa come arma, non fu mai un’opzione in Occidente. Questo per diverse ragioni culturali, ma soprattutto religiose, dato il forte impatto sulle coscienze di una morale fondamentalmente cristiana: in Europa il suicidio è un tabù. Ricordo che un’amica giapponese intravide in una mia borsa un tenugui su cui erano scritti i nomi dei diciannove giovani samurai suicidi della Tigre Bianca. “Quello lì ero io!” esclamò, indicando uno dei nomi. Vedendomi sorpreso, mi raccontò che quando era piccola, nella sua scuola veniva regolarmente rappresentata la storia del biakkotai. I samurai venivano interpretati da bambini di otto o nove anni, i quali alla fine mimavano tutti il suicidio rituale, con tanto di sventramento e decapitazione.

Dell’Orco: Non oso immaginare cosa succederebbe se si proponesse quello spettacolo in una scuola elementare italiana. Ma oggi il fenomeno dei guerriglieri suicidi è appannaggio esclusivo di un mondo, quello dell’integralismo islamico, in perenne lotta contro l’Occidente e contro lo stesso cristianesimo.

Vattani: Quindi abbiamo un Oriente disposto a “compiere l’atto supremo”, al quale l’Occidente sarebbe in grado di contrapporre esclusivamente la tattica militare?

Dell’Orco: Come è successo in Afghanistan e in Iraq, e da ultimo in Siria, le guerre asimmetriche vengono combattute dalle potenze Occidentali senza fare ricorso all’“anima”. Vengono pianificati bombardamenti, azioni dimostrative, ma non emerge un modello spirituale. Per assurdo, lo spiritualismo dei giapponesi del primo Novecento e il radicalismo islamico attuale, potrebbero rappresentare due volti contrapposti di uno stesso “quid” bellico. Invece l’Occidente agisce, oggi come allora, in base a un utilitarismo e a un desiderio di riaffermare la propria onnipotenza, le stesse cause che portarono alla scelta di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

Vattani: Sul memoriale di Hiroshima rimane la frase ambigua “non verrà ripetuto l’errore”, che suona come un avvertimento e ancora disturba i nazionalisti giapponesi.

Dell’Orco: Dal lato dei vincitori occidentali, in termini spirituali c’è un nulla cosmico. O meglio, ci sarebbero gli escamotage dettati dalla difesa dei diritti umani. Che però in realtà sono barzellette, dal punto di vista dei terroristi. La parola araba damaqrata, che designa l’azione di “democratizzare”, da quelle parti ormai è utilizzata solo in senso peggiorativo, una trasformazione subìta, imposta dallo straniero.

Vattani: Ricorda Kissinger sulla guerra in Vietnam: “Noi combattevamo una guerra militare convenzionale, i nostri nemici una guerra politica. Noi puntavamo a un logoramento di tipo fisico; i nostri nemici miravano a esaurirci psicologicamente. In questo confronto, perdemmo di vista la massima fondamentale della guerriglia: la guerriglia vince se non perde. L’esercito convenzionale perde se non vince”. Quindi dare troppa visibilità alle azioni dei terroristi significa dar loro forza?

Dell’Orco: La notizia dell’attentatore che si fa esplodere in Occidente viene amplificata dal fatto che qui tendiamo a vivere in una campana di vetro, e a giudicare qualsiasi tipo di violenza come totalmente distante da noi. In una puntata della serie tv cult Black Mirror che si intitola “Arkangel” si immagina un sistema di monitoraggio dei propri figli attraverso un tablet. Ma in più il sistema possiede delle funzioni speciali, una sorta di “parental control” in grado di “inibire” la vista di qualsiasi cosa possa creare stress per i bambini, anche un cane che abbaia.

Vattani: Allegoria azzeccata. I nostri figli crescono senza avere un vero contatto con la realtà. Al momento in cui il velo di Maya cade, si trovano a dover elaborare all’improvviso, in modo traumatico, esperienze che altrimenti nel corso di una crescita normale si sarebbero potute metabolizzare con un certo agio.

Dell’Orco: Estremizzando il concetto, si può dire che mentre i volontari nipponici si immolavano come kamikaze poco dopo la fine degli studi, e mentre i giovani shuhada islamici accettano la morte volontaria come porta d’accesso per un mondo migliore, i ragazzi in Occidente vengono tenuti al riparo persino dalle informazioni sui loro coetanei così geograficamente e spiritualmente lontani.

Vattani: Nel libro racconti del cosiddetto terrorchic, per cui sui social network di un certo mondo, l’immagine di un giovane miliziano diventa “pop” quanto lo è da noi quella del rapper che fa il bagno in Jacuzzi con due ragazze.

Dell’Orco: I nostri modelli sono talmente distanti da non essere più paragonabili. Eppure usiamo le stesse tecnologie – gli smartphone – e gli stessi mezzi – i social – che accomunano ormai la quotidianità del mondo intero. Dovremmo guardarci meglio attorno, per capire che il nostro nichilismo sta ormai limitando la nostra percezione della realtà. Non sembriamo più capaci di esprimere un modello spirituale, salvo condannare ciò che è “retrogrado” e “violento”. Ma contrapporre il nulla a un “qualcosa”, fosse anche il cieco e violento fanatismo religioso, rischia di portare alla sconfitta.

(da Il Primato Nazionale, aprile 2018)

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