da il Foglio.it: “L’Egitto, la battaglia di Tsushima e una lezione per l’Europa” di Mario Vattani

UnknownFa sempre bene, anche se forse non ai polmoni, venire al Cairo.

Quindi nonostante il traffico sia peggiorato notevolmente rispetto a dieci anni fa, e con esso anche l’aria che si respira nella grande “città di polvere”, ieri ho voluto camminare lungo la Qasr El Nil per arrivare alla Midan Mustafa Kamil, la piazza dedicata all’eroe fondatore del partito nazionale egiziano morto nel 1908, accanito nemico dell’occupazione inglese.

Ecco il monumento. E’ opera dello scultore Leopold Savine, che ha voluto rappresentare il portamento fiero di questo grande leader nazionalista: ha un dito puntato dritto verso la terra, l’Egitto. Ha lo sguardo rivolto al futuro, e l’altra mano poggiata sulla testa della sfinge, a significare le radici profonde della nazione egiziana.

Quando abitavo ancora al Cairo, consideravo questo personaggio immobile, elegante e coraggioso una sorta di sempai, forse anche per la sua passione – da me condivisa – per il Giappone. Un’ammirazione profonda che lo portò, sull’onda dei successi nipponici nella guerra del 1904-05 contro l’Impero russo, a dedicare un ultimo importante saggio politico proprio al “Sol Levante”.

Allora in questa piazza mi è venuta in mente una strana coincidenza, per cui le nostre prossime elezioni europee cadranno il 25 maggio 2014, a poche ore dall’anniversario della battaglia di Tsushima, lo scontro navale che nel 1905 ha deciso le sorti della guerra russo-giapponese. E forse l’inizio della fine del predominio degli europei sugli altri popoli della terra: senz’altro un’avvisaglia del processo di decolonizzazione.

Tsushima! L’Ammiraglio giapponese Togo rientra in porto avendo perso tre motosiluranti. Dei suoi marinai, sono solo centodieci quelli destinati a raggiungere gli spiriti eroici nel santuario di Yasukuni.

Ma per l’Impero russo, la Terza Roma, una delle maggiori potenze europee, è l’umiliazione totale. Affondata o catturata quasi tutta la flotta, undici corazzate, otto incrociatori e nove cacciatorpediniere. Anche le perdite umane sono terribili: oltre quattromila morti e quasi seimila prigionieri, compresi due Ammiragli.

Nel mondo non-occidentale, gli anticolonialisti seguono con orgoglio i successi giapponesi.

In quel periodo molti nazionalisti indiani esiliati si rifugiano a Tokyo, e all’epoca del Swadeshi boycott, quando viene bloccato l’ingresso in Bengala alle merci britanniche e straniere, si lascia liberamente passare tutto ciò che proviene dal Giappone. Anzi, le industrie tessili che operano privatamente continuano a importare e utilizzare macchinari giapponesi.

In Cina, la crescita del movimento di rinnovamento nazionale, Ch’ing-i che ha origine nel Movimento di Riforma cinese del 1898, secondo alcuni si può collegare alla presenza giapponese nell’area. Dal canto suo il movimento vietnamita Dong-du, “andare a Est” sceglie l’esempio nipponico come modello per le élite dell’Asia che auspicano una modernizzazione diversa, fuori dal contesto culturale occidentale.

Mentre in Egitto, un personaggio del calibro di Mustafa Kamil Pasha nel 1904 scrive “Al Shams Al Mushriqa”, appunto “Il Sol Levante”. Kamil si batte per l’indipendenza dell’Egitto, e nel modello nipponico, che ha saputo conciliare l’antico con il moderno, sviluppando prima di tutto la capacità organizzativa industriale militare per liberarsi del giogo coloniale, egli vede la riprova che non vi sono contraddizioni tra l’Islam e la modernità, la scienza, e la civiltà.

In Europa cresce l’ansia. Iniziano ad apparire i riferimenti al “pericolo giallo”, un impero giapponese che minaccia il predominio degli europei sul resto del mondo.

Addirittura negli Stati Uniti, dal 1905 le comunità afro-americane, alle prese con le teorie di supremazia bianca che resistono anche dopo la guerra civile, guardano al Giappone come “portabandiera delle razze più scure” – champion of the darker races.

Insomma, dopo la devastante sconfitta dell’impero russo nel 1905, si contempla la possibilità di una modernità diversa, non europea, non coloniale. Un’altra strada possibile, dove non sia necessario rinunciare alla propria identità per modernizzare il paese, dove non serva cancellare le proprie tradizioni per migliorare le condizioni dei popoli, e avere un ruolo nel mondo.

E allora – penso mentre salgo sullo scassatissimo taxi nero e bianco, rigorosamente senza tassametro – in questa prossima Tsushima europea, chi saranno i russi? Chi sarà il pericolo giallo? Chi saremo noi?

L’oracolo è nella sfinge, sul monumento rivolto verso il Nilo.

Basta seguire il dito di Mustafa Kamil.

 

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