“Arsenico e vecchie feluche”. Un doveroso ricordo dell’Ambasciatore Paolo Faiola (da il Foglio del 05.01.2007)

calamaioPaolo Faiola, “Arsenico e vecchie feluche”

Edimond, 2007

“Simpatica la citazione di una frase tratta da un libro di F. A. Giménez Arnan (Memoria de Memorias): ‘E’ l’unica carriera nella quale Lei vivrà come se fosse ricco, senza esserlo’. Ne ho fatto esperienza personale, e in effetti è una curiosa sensazione”.

E’ forse una battuta chiave del diario dell’ultimo anno di servizio di Paolo Faiola, che dopo essere entrato nella carriera diplomatica ventottenne nel 1967 fu via via a Innsbruck, Lima, Lisbona, Tunisi, Praga, Berlino e di nuovo a Praga, per terminare infine come Segretario Generale dell’Istituto Latino-Americano, e andare in pensione col titolo prestigioso di Ambasciatore di rango.

Nel contempo fu un personaggio noto per la sua vis polemica e la sua fede politica di destra, leader di un battagliero sindacato che si batteva per tutelare la professionalità della diplomazia italiana contro la deriva sessantottina. E alcune delle pagine più spassose sono infatti dedicate ai “serpentoni”: cortei di dipendenti della carriera di concetto che, inquadrati dai sindacati di sinistra, negli anni Settanta sfilavano nei corridoi del Ministero a chiedere la promozione al rango direttivo a suon di pedate sulle porte.

Inopinata Madeleine, la notizia della nomina di uno di tali antichi “calciatori di porte” all’ambasciata di un Paese centroamericano.

Faiola riuscì però a restare, per generale attestazione, una rara figura di “diplomatico italiano filo-italiano”. Uno che teneva ben viva la lealtà al governo legittimo di turno prima delle passioni ideologiche, e la percezione dell’interesse nazionale al di sopra di tutto.

Per lui, la destra al governo avrebbe dovuto rappresentare il ritorno a tali valori, piuttosto che promuovere i “calciatori di porte” e poi naufragare tra insipienza, salotti e veline.

Tanto maggiore è appunto la delusione registrata in questo “Diario di un anno inutile”: fulminante Zibaldone che tra battute, confessioni, appunti di viaggio, letture, annotazioni dal dibattito nazionale accompagna appunto un malinconico addio alla carriera, al governo di centrodestra, alle illusioni di gioventù e, purtroppo, anche alla vita.

A soli due mesi dalla pensione, infatti, Faiola è morto, di leucemia fulminante. Trasformando questo libro postumo in uno straordinario testamento umano.

(Maurizio Stefanini)

 

 

 

 

 

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